Dacci oggi il nostro pane quotidiano: ma prima gli italiani!

Dacci oggi il nostro pane quotidiano: ma prima gli italiani!

Immaginate di essere in un panificio di una città italiana.
C’è una lunga fila che continua anche fuori dalla porta; il panettiere, vedendo tanto caos, inizia a urlare con voce tremolante: “Fermi tutti! Servirò prima gli italiani”.

A quel punto, il nordafricano, l’indiano e il cinese che per prendere i primi posti erano in attesa da ore (quando ancora la saracinesca era abbassata), sentendosi ingiustamente discriminati, affermano all’unisono: “Perché prima gli italiani? Che abbiamo fatto noi di male?”

Il panettiere, con un ghigno d’orgoglio, risponde: “Gli italiani hanno il diritto di precedenza perché sono nati qui”, allora l’indiano risponde: “Anche mio figlio è nato qui, possiamo prendere il pane per primi?”

Ma il panettiere aggiunge: “E no, gli italiani hanno diritto al pane perché pagano le tasse!”; ecco però che qui inizia a percepirsi un imbarazzo generale, il milanese abbassa lo sguardo sulle sue scarpe da 300 euro fischiettando, il napoletano prova a distrarre tutti parlando del buon profumo di pizza che arriva dal retrobottega, il romano fa una proposta allettante: “Rispettiamo l’ordine di arrivo e finiamola qua!”.

Il panettiere così inizia a sentirsi in difficoltà, e per rimarcare il suo punto di vista continua: “Gli italiani rispettano la legge, mica come voi immigrati!”; così, il tizio che poco prima era l’ultimo della fila e adesso (non si sa come) è quarto, tira fuori dalla borsa contraffatta un telefono rubato al bar lì accanto e finge di chiamare qualcuno.

Il panettiere si accorge subito che quello è il telefono che la figlia aveva smarrito poco prima, così, infastidito, prova a cambiare discorso, e per convincere gli stranieri aggiunge: “Gli italiani lavorano sodo e fanno andare avanti il Paese con molti sacrifici”.

Proprio in quel momento si sente un colpo di tosse nervoso e imbarazzato, è quello dell’impiegato delle Poste che poco prima aveva timbrato il cartellino e in orario di lavoro era in giro a fare spese.

Il senegalese allora si difende: “Ma se io mi sono alzato alle 3 del mattino per andare a lavorare! Anch’io faccio sacrifici!” ma il panettiere subito incalza: “Sì, però hai tolto il lavoro a un italiano!”; il ragazzo allora risponde “Sapessi quante cose hanno tolto in passato gli Europei agli abitanti del mio Paese, e comunque raramente vedo giovani italiani candidarsi per fare il lavoro che faccio io!”

Allora il panettiere, stanco di arrancare spiegazioni, urla: “Adesso basta, servo solo i veri italiani!”.

Ed è così che il siciliano primo della fila sente il dovere di dire: “Quindi mi tocca andar dietro?”, e il panettiere risponde: “Perché mai signore, rimanga pure qui”, “Eh no”, ribadisce il siciliano, “Io non sono un italiano vero, parlo bene l’argentino e me la cavo pure con il tedesco… mio nonno materno infatti emigrò a Buenos Aires, ed è lì che io sono nato e cresciuto, i miei nonni paterni invece hanno lavorato per anni in Germania, ho vissuto in parte anche lì. A 20 anni però ho deciso di tornare in Sicilia, perché mi affascinava molto visitarla e scoprire le mie origini. E sa cosa ho scoperto? Che definirci ‘siciliani’ è quasi riduttivo: noi siamo normanni, arabi, bizantini, greci, saraceni, turchi, ebrei, spagnoli, siamo tutto. Dunque, cosa vuol dire poi ‘essere italiani’? Parlare bene la lingua? Pagare le tasse? Lavorare in modo onesto? Essere nati qui? Cosa?

A quel punto il panettiere non sapendo più cosa rispondere, ammette amaramente: “Il vero problema è che il pane non basta per tutti”.

Allora, una donna che aveva ascoltato tutto restando in silenzio, si avvicina al bancone, prende il pane, lo spezza e dice: “Dividiamo il pane in base al numero dei componenti di ogni famiglia, se voi siete in 4, allora 4 pezzi di pane, tu sei uno, allora un solo pezzo. E se arriveranno anche altri clienti, chiederemo sostegno anche ai panifici vicini. Il pane non si nega a nessuno, mangiare è un diritto di ognuno”.

Non è contro lo straniero che dobbiamo lottare, ma insieme a lui contro la POVERTÀ e tutto ciò che la alimenta, come ad esempio la cattiva politica, la corruzione, la mafia, l’ingiustizia sociale, la disoccupazione, l’anacronistica organizzazione scolastica e universitaria, l’ignoranza, il lusso sfrenato, lo spreco.

In fondo, siamo tutti migranti, poveri e affamati. Restiamo umani.

di Virginia Avveduto

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