Perché la Politica non comprende più i nostri bisogni?

Perché la Politica non comprende più i nostri bisogni?

Si dice che la Politca non sappia più comprendere i bisogni delle persone, cosa che spiegherebbe il successo dei “nuovi” partiti-movimenti-sette-aziende e la crisi di quelli vecchi.
Ma è anche vero che la Politica è fatta dalle persone, dunque sono le persone stesse a non comprendere più i propri bisogni. E il voto ai colletti gialli-verdi-neri-bianchi lo dimostra senza lasciare molti dubbi.

Per esempio, non abbiamo compreso i bisogni del Pianeta (e quindi i nostri) che ci ospita. L’Onu, infatti, lancia e rilancia continui allarmi sul riscaldamento globale; ma noi siamo troppo impegnati a guardare le dirette social (fondate sul nulla) del genitore 1 e del genitore 2 del Presidente del Consiglio Conte. Al giorno d’oggi, sia a Sinistra che a Destra, i partiti più forti dovrebbero proporre serie politiche ambientali e confrontarsi, prima di tutto, su quelle.

Non abbiamo compreso il significato del Lavoro. Chi crede che per vivere si debba lavorare dalle 8 alle 14 ore al giorno, può benissimo prendere un biglietto di sola andata per il 1840, lì vivrà benissimo. Chi crede, invece, che il tempo libero vada preservato, in quanto bene primario dell’essere umano, allora può rimanere nel 2018. Danimarca, Svizzera e altri Paesi che hanno chiaro il concetto di “tempo”, sono riusciti a capire che, paradossalmente, si produce di più lavorando di meno.

Un grande politico di Sinistra (non italiano “stranamente”), Josè Mujica, ha affermato: “Non veniamo al mondo per lavorare o per accumulare ricchezza, ma per vivere. E di vita ne abbiamo solo una“. Certo, in Italia abbiamo il problema della disoccupazione e della precarietà, quindi, ancor prima di parlare di ore lavorative, dovremmo parlare di occupazione; anche se la riduzione delle ore lavorative potrebbe essere, in parte, una soluzione a entrambi i problemi (ma lascio agli esperti ulteriori approfondimenti).

Non abbiamo compreso l’importanza della Scienza e del progresso tecnologico. Dibattiamo su vaccini sì/vaccini no, razza sì/razza no, aborto sì/aborto no, omeopatia sì/omeopatia no, terra piatta sì/terra piatta no, sbarco sulla luna sì/sbarco sulla luna no. Nel frattempo, due grandi studiosi hanno appena vinto il Nobel per le loro scoperte sull’immunoterapia contro il cancro. In pochi se ne sono accorti, perché, tra un dibattito e l’altro, dovevano insultare Nadia Toffa che ha detto che il cancro è un dono (lo sarà per lei ovviamente, quindi perché perdere ore e ore a parlare di una cosa tanto personale e delicata che non ha bisogno di giudici?).

La nostra difficoltà a star dietro al progresso scientifico e tecnologico e a interpretare la società non dipende solo da noi, ma anche dalla nostra formazione scolastica/universitaria e dal disinteresse della politica per la scienza, la cultura e l’istruzione (che dovrebbero essere dei punti di forza nel Paese di Galileo, Leonardo, Caravaggio, Dante, Leopardi, Montalcini, Fermi, Hack e… se dovessi elencarli tutti, finirei nel 2050).

Non abbiamo compreso come gestire i flussi migratori. E in tal caso siamo giustificati, quasi nessuno ci ha capito davvero una mazza. Il problema è che noi, comuni mortali schiacciati dalle bollette da pagare, complichiamo tutto; invece di spegnere un piccolo incendio, ci buttiamo sulle fiamme a capofitto e armati di benzina, in mood autolesionismo insomma. Urliamo “basta immigrati!”, “basta invasione!”, quando potremmo benissimo chiederci: “come ci organizziamo per mantenere l’ordine pubblico e, contemporaneamente, garantire l’integrazione?”. Basterebbe accettare l’idea che non c’è nessuna invasione, quindi è ridicola questa nevrosi di massa.

Non abbiamo compreso il senso dei social-media, e forse non l’hanno capito nemmeno i loro fondatori. Non riusciamo a distinguere una bufala da una notizia attendibile. Affrontiamo i più disparati argomenti ponendoci sullo stesso piano di chi li studia da anni. Siamo convinti di essere dei bravi comunicatori, scriviamo 4.000 messaggi al giorno, mandiamo 2.000 note vocali (di 10 minuti l’una), pubblichiamo post di ogni tipo, commentiamo ogni cosa, eppure, nonostante tutto, 7 volte su 10 veniamo fraintesi (attenzione, “statistica” fatta al bar). I nostri antenati si capivano con uno sguardo, con un gesto o un geroglifico. Noi non riusciamo più nemmeno a guardarci negli occhi.

E proprio parlando di sguardi e di occhi, permettetemi di esagerare un po’.
Non abbiamo compreso noi stessi. Siamo tristi e siamo convinti che la tristezza sia qualcosa da scacciare via, da debellare: così ci rifugiamo nel cibo, nelle chat, nelle relazioni tossiche, nelle fotocamere di uno smartphone, nei reality, nelle social-dirette, nelle stories, nei sonniferi, nello shopping, nello specchio, nella spettacolarizzazione del privato e in tutte quelle sostanze che, anche solo per poco, ci danno una sensazione di felicità. Eppure la tristezza è la cosa più naturale che esista. Ed è impossibile cancellarla. (E per tristezza non intendo la depressione, quella è una malattia… ma questa è un’altra storia).

Dunque, tante, troppe sono le cose che non abbiamo compreso. Ma per fortuna non è solo un problema made in Italy, riguarda un po’ tutto il mondo. Insomma, non siamo noi gli unici coglioni.

 

di Virginia Avveduto

 

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