Cosa succede in Siria?

Cosa succede in Siria?

Cosa succede in Siria? Nonostante abbia letto una decina di articoli, consultato due pagine enciclopediche (Treccani – Wikipedia) e aver guardato diversi video informativi, posso dire, riguardo alla guerra civile siriana, di avere le idee “chiare” come quelle di un inglese o un olandese che prepara una carbonara.

Dunque, con queste righe, cercherò di confondere anche le idee di chi mi legge. Sì, perché l’unico modo per iniziare a capire davvero qualcosa, è porsi delle domande, creare dei dubbi, confondersi e chiarirsi un po’, e ascoltare più pareri.

Da brava non-giornalista e da profana di politica estera e conflitti internazionali, mi accingo a fare delle semplici riflessioni. Perché, in un tempo in cui le opinioni si basano sui soli titoli o su notizie false, in un tempo in cui si esprimono concetti estremamente complessi in soli 280 caratteri o si prendono posizioni nette e feroci facendosi guidare più dall’istinto che dal ragionamento, in un tempo in cui quasi tutti sanno da che parte stare, hanno la verità in tasca – proprio lì, accanto al proprio smartphone – e condannano chi la pensa diversamente, la comprensione e la riflessione sono diventati atti rivoluzionari.

L’opinione pubblica si è destata il 14 aprile 2018, quando gli Usa, la Francia e la Gran Bretagna hanno attaccato con 105 missili – definiti da Trump “belli e intelligenti” – tre siti siriani strategici: il centro di ricerche Barzeh alla periferia di Damasco, il bunker e il centro di comando dei reparti chimici di Shinshar.

Si è trattato di un atto pericoloso (in quanto potrebbe scatenare le ire della Russia di Putin, tanto che c’è già chi grida alla Terza guerra mondiale) e da molti definito “illegale” (in quanto deliberato senza il consenso dell’Onu e del Congresso Americano), seppur calibrato e mirato ad evitare ulteriori vittime.

Ciononostante, quel che mi colpisce e mi lascia perplessa, è la reazione di molti miei connazionali (sia di destra che di sinistra) che hanno condannato questo episodio, reputandolo un orrore da fermare, ignorando che questo è stato l’unico attacco (e teoricamente isolato) senza morti e dimenticando che gli orrori, in quel Paese martoriato, si verificano già dal 2011.

A questo punto, immagino già qualche lettore intento a decretare la mia posizione: “filo-americana”. Perché in Italia, o sei bianco o sei nero, o sei bianco-nero o sei juvemerda, o sei salviniano o sei grillino o sei renziano, o sei vegano o sei carnivoro, o sei cavernicolo o sei social, o sei del Nord o sei del Sud, o sei credente o sei ateo.
Ebbene, mi tocca deludere qualcuno: non sono né filo-americana, né filo-russa. Provo a riflettere, e basta.

La guerra civile siriana, inizia ufficialmente nel 2012, dopo la repressione violenta, da parte del presidente Bashar al Assad, delle manifestazioni della Primavera araba del 2011. Da quel momento si assiste a una escalation di violenza in tutto il Paese, che vede, da un lato gli sciiti e dall’altro i sunniti; da un lato il regime di Assad sostenuto dalla Russia, dall’Iran e dalla Cina, dall’altro l’opposizione, composta dalle forze fondamendaliste islamiche, dai gruppi di ribelli, dall’Esercito Libero Siriano, dai curdi, e dai gruppi terroristici quali al-Nusra e Is (ovvero l’Isis), questi ultimi due lottano in modo autonomo dagli altri; l’opposizione in generale è sostenuta da USA, Turchia, Francia, Gran Bretagna e Arabia Saudita.

A questa matassa, si aggiunge anche una contraddizione (tipica) dell’Occidente: secondo i dati raccolti dallo Stockholm International peace research institute (Sipri), nel quadrienno 2013/2017  l’export di armi verso i Paesi esteri è cresciuto del 13%, piazzando l’Italia alla nona posizione tra i Paesi esportatori con una fetta di mercato globale pari al 2,5%.

In questi 7 anni, sotto i nostri indifferenti occhi, sono morte circa 400.000 persone, si sono susseguiti bombardamenti in città quali Homsa, Damasco, Aleppo, e attacchi con armi chimiche sulla popolazione, che hanno causato innumerevoli e orripilanti morti, molti dei quali bambini. Abbiamo visto le foto e i video dei civili feriti estratti dalle macerie, abbiamo impresso nella nostra memoria l’immagine del bambino ricoperto di cenere e scioccato sul sedile di un’ambulanza di Aleppo; abbiamo dibattuto se ospitare o meno i 500.000 migranti arrivati in tutta Europa via mare e via terra, e ci siamo chiesti se e come aiutare, qui o a casa loro (ossia nelle loro città fantasma, sventrate dalle esplosioni, o nei lager libici, o al confine con la Turchia) gli oltre 6 milioni di profughi.

Si tratta di una storia estremamente complessa, una storia che, come sempre, vede coinvolti molti interessi economici, in quanto il territorio siriano è circondato da un enorme deserto in cui si trova un terzo delle riserve di petrolio (e di gas naturale) di tutto il pianeta. Un vasto territorio dalla storia millenaria, che ha visto nascere le civiltà sumera, assira e babilonese; che ha visto susseguirsi le principali religioni monoteiste: giudaismo, cristianesimo e islamismo; che ha fatto parte dell’Impero persiano, greco, romano, islamico, ottomano; e che solo dopo la prima guerra mondiale, con l’ausilio e l’intervento di Francia e Gran Bretagna, ha assistito alla nascita degli Stati che conosciamo oggi: Siria, Iraq, Giordania, Arabia Saudita, Palestina, Turchia, controllate dagli europei fino alla seconda guerra mondiale.

Da questo momento, questi Paesi divengono un continuo scenario di guerra. La Siria, in particolare, è soggetta a frequenti colpi di Stato, fino ad arrivare alla diffusione dell’ideologia del Ba’thismo, definita come socialismo arabo, che negli anni ‘70 vede l’instaurarsi del regime di Hafiz al-Assad (padre dell’attuale Presidente).

Da queste poche righe, si evince quanto sia difficile avere le idee chiare su una questione del genere, quanto sia inutile decidere chi siano “i buoni” e chi “i cattivi”, quanto sia rischioso prendere posizioni impulsive e dettate dal proprio colore politico.

Ho assistito a dibattiti sulla (dubbia) veridicità degli attacchi chimici da parte di Assad, ho letto insulti contro i “buonisti” nelle foto con la mano sulla bocca per denunciare gli attacchi sui civili.

E tra le polemiche, gli insulti, l’indifferenza, come al solito, a rimetterci, sono sempre loro: le persone di quei luoghi, che si sono ritrovate, da un giorno all’altro, in preda alla disperazione e alla morte, senza sapere come e perché, senza averne colpa, ma con un’unica certezza cicatrizzata sul cuore: essere nate nel posto sbagliato, al momento sbagliato.

 

di Virginia Avveduto

 

Fonti:

www.lastampa.it

www.internazionale.it

www.treccani.it

www.bbc.com

www.retedellapace.it

www.ilpost.it

 

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