La tortura è reato: da oggi questo Paese è un po’ meno incivile
Ho incontrato un piccolo grande uomo, abbiamo parlato un po’, una sera di luglio. Mi ha raccontato la sua storia, con la voce tremante e gli occhi lucidi (i suoi e i miei). Piccolo per la statura, per i suoi 77 anni e per il suo aspetto, che lo fanno apparire vulnerabile, indifeso. Grande perché ha lottato, con forza, coraggio e dignità per molti anni.
Arnaldo Cestaro, così si chiama, la notte del 21 Luglio 2001 dormiva dentro la scuola Diaz di Genova (quel giorno aveva partecipato alle manifestazioni contro il G8); era il più anziano tra tutti quei giovani che avevano trovato posto lì per passare la notte. D’un tratto fece irruzione la Polizia, e tutti ormai sappiamo come andò a finire.
Gli agenti lo picchiarono, mentre lui, disarmato e con le spalle al muro, urlava “Lasciatemi, non ho fatto niente, sono un uomo pacifico!”; gli ruppero un braccio, una gamba e dieci costole durante i pestaggi. Assistette inerme a qualcosa che, ancora oggi definisce, senza mezzi termini, come “macelleria”. “Ho assistito, per qualche ora, al ritorno del Nazismo”, ha più volte dolorosamente affermato.
Quella notte, lo Stato annegò nel sangue ogni barlume di civiltà, soppresse unilateramente ogni forma di rispetto e tutela dei Diritti Umani.
Da quella notte Arnaldo, nonostante le ferite, gli interventi chirurgici e le lesioni permanenti, ha iniziato la sua coraggiosa battaglia: in Tribunale e nelle piazze, nelle strade nelle Aule delle Università. Ha raccontato la sua storia, ha parlato di Costituzione e di Diritti Civili, con una passione e una competenza che, nonostante abbia solo la licenza elementare, lo hanno portato sui palchi di manifestazioni politiche e sindacali, a incontrare scrittori e costituzionalisti.
Per oltre 16 anni ha chiesto ad alta voce l’approvazione del reato di tortura, la stessa tortura che quella notte aveva subito e aveva visto commettere indiscriminatamente su decine e decine di giovani indifesi. Per tutti questi anni, si è battuto per l’approvazione di una legge di civiltà, che avrebbe equiparato l’Italia agli altri Stati europei, una legge che avrebbe ridato un pizzico di dignità a tutte le vittime di quella tragica notte.
Arnaldo la sua battaglia l’ha vinta: due volte.
La prima volta, quando, dopo un lungo iter giudiziario, nell’Aprile del 2015, ha ottenuto l’emanazione di una pronuncia storica da parte della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, facendo condannare lo Stato italiano al risarcimento del danno subito.
I giudici gli diedero ragione in toto, decidendo all’unanimità che l’Italia aveva violato l’art. 3 della Convenzione sui diritti dell’uomo nella parte in cui recita che “Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti”; la Corte infatti ha ribadito che quanto compiuto dalle forze dell’ordine italiane nell’irruzione alla Diaz doveva essere “qualificato come tortura”.
Ma la sentenza andava oltre, affermando che, se i responsabili non sono mai stati puniti, era soprattutto a causa dell’inadeguatezza delle leggi italiane, che quindi dovevano essere cambiate: l’Italia doveva approvare una legislazione adeguata.
La seconda volta è oggi, 5 Luglio 2017, giorno in cui il reato di tortura è diventato Legge.
Da oggi, Arnaldo e tutte le altre vittime potranno, finalmente, accennare un sorriso; potranno farlo, forse, pure i familiari delle vittime che non ce l’hanno fatta, dentro e fuori la scuola Diaz, per le strade, nelle questure, dentro le carceri.
Anche se questa legge, ancora imperfetta, non restituirà alla vita i morti; anche se questa legge non cancellerà le cicatrici, i traumi, le paure, il dolore, la dignità sfregiata per sempre, il tempo trascorso. Anche se tutto questo non sarà mai possibile, una piccola luce è stata accesa per guardare al futuro.
Da oggi questo Paese è un po’ meno incivile.
Francesco Giamblanco
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