Da quanto tempo non spegnete lo smartphone?
Pare che in Cina abbiano creato una corsia preferenziale per i pedoni che non vogliono o non possono distogliere gli occhi dal proprio smartphone.
In effetti, camminiamo guardando lo smartphone, parliamo con qualcuno scorrendo il dito sullo smartphone, guidiamo gettando un occhio sullo smartphone, mangiamo fotografando il piatto con lo smartphone, fingiamo di ascoltare qualcuno mentre scriviamo sullo smartphone, dormiamo con lo smartphone acceso, accanto al comodino. Che non si sa mai.
Ma vi siete chiesti da quanto tempo non spegnete il vostro smartphone? Sul serio: da quanto tempo non passate un’ora, due ore, un giorno, una settimana, un mese, senza uno smartphone acceso tra le mani?
(Mi rivolgo a voi, ma includo pure me).
Riuscite a immaginare quante cose potreste fare, diversamente, se lo spegneste?
Innanzi tutto potreste camminare per strada evitando di farvi investire (a meno che non abitiate in Cina); o comunque potreste guardarvi intorno e osservare divertiti che brutte facce hanno i passanti: perché ammettiamolo, dentro gli smartphone siamo tutti più belli, filtrati, saturati, contrastati, lucidati; dal vivo siamo imperfetti, nervosi, sudati, arrabbiati, o sorridenti ma coi denti storti, sovrappeso, vestiti uno schifo.
Però veri. Potreste osservare gli sguardi, gli abbracci, i gesti gentili; potreste ascoltare i rumori, i sussurri, le urla.
Notereste quanto è bravo a cantare quel ragazzo con la chitarra e il cappello con pochissime monete dentro; scoprireste che intorno a voi c’è ancora vita, c’è gente che corre da un negozio all’altro, che torna stanca dal lavoro, che sta seduta ai tavoli dei bar a sorseggiare uno spritz. C’è un bambino che osserva incantato uno spettacolo di bolle di sapone, c’è una donna che cammina sola, ha la gonna cortissima e l’aria svampita. C’è flusso, corrente, energia, odori, ronzii, passi.
Potreste far spese, salutare l’edicolante, osservare dritto davanti a voi le nuvole sul lungofiume, sbirciare le vetrine ai lati della via, prendervi tutto il vostro tempo e goderne pienamente, quando all’improvviso un tizio vi arriva addosso perché non vi aveva visti, era concentrato sullo schermo del suo telefono, distratto da tutto il resto; e come lui moltissimi altri, decine, centinaia.
E voi potrete osservarli tutti, accorgervi di quanto sono buffi, tristi, assenti, robotici nella loro mimica ripetitiva. Sarà sorprendente accorgersi di non essere come loro.
Poi potreste tornare a casa e leggere un libro, un giornale, una rivista: farvi un’opinione prima ancora di esprimerla twittandola. Potreste pigiare i tasti di un pianoforte, sfiorare una tela con un pennello, accendere quel vecchio giradischi, magari prima spolverarlo un po’. Potreste telefonare a un amico che non sentite da tempo, organizzare per un caffè, guardare fuori dalla finestra e accertarvi che ci sia ancora il sole altrimenti dovrete prendere l’ombrello. Potreste andare al cinema. Potreste dormire.
È chiaro, prima o poi lo riaccenderete: qualcuno vi ha certamente chiamato, in molti vi hanno scritto dei messaggi, ci sono da controllare i gruppi, le notifiche, le e-mail. Così tornate ai like, alle spunte blu, alle visualizzazioni, ai cuoricini sulle foto, alla “realtà” insomma.
Con una strana sensazione di tristezza. Come quando tornate dalle vacanze che avete finito le ferie, durante le quali (anche se per pochissimo) avevate assaporato il gusto della libertà, dell’ in-dipendenza (perché proprio di “dipendenza” spesso si tratta).
Spegnetelo. Provarci non costa nulla. Mal che vada avrete risparmiato un po’ di Giga.
di Francesco Giamblanco
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