Dal Vangelo secondo Matteo: il cammino verso la santità di Capitan Salvini

Dal Vangelo secondo Matteo: il cammino verso la santità di Capitan Salvini

Ha baciato il Rosario e implorato, come un condottiero in partenza per una Crociata, il “Cuore Immacolato di Maria”, la stessa Maria madre di Cristo costretta a partorire suo figlio al freddo di una stalla perché rifiutata da chi avrebbe potuto e dovuto accoglierla. (Vi ricorda qualcuno?)

E lo ha fatto per la stessa ragione per cui già in passato aveva scomodato il Vangelo e Padre Pio: per prendere i voti. Quelli per diventare prete (direte voi)? No, quelli per vincere le elezioni, politiche allora, europee oggi.

Perché è un grande uomo di fede. (Di fede in Dio?) No di certo. Di fede nella propria capacità di fare propaganda in maniera subdola e di pancia (intestinale, oserei dire): in grado di far credere al pubblico ido-latrante ai suoi piedi che, attraverso l’investitura celeste, sia possibile raggiungere la vittoria. (Sento puzza di santità). È il mito del Re Sole, dell’impertore incoronato dal Papa.

Peccato che, in questo caso, il buon Francesco sia al contrario diventato bersaglio delle critiche e degli insulti dei suoi fan: perché predica accoglienza e solidarietà (che strano eh?), principi sviscerati abbondantemente tra le pagine di quel Vangelo che lui in fondo non ha mai letto.

Così come non ha mai letto davvero un testo di De Andrè, nè tantomeno la Costituzione, o i trattati internazionali, o la Dichiarazione Universale dei Diritti umani. Emeriti sconosciuti.

Perché la propaganda serve a questo: a produrre miraggi, false promesse, deviazioni, scorciatoie, fantasie, distrazioni, religioni, fughe dall’attualità e dalla realtà.

Che è quella di un Paese che ha democraticamente scelto di multare le ONG che salvano vite in mare, un Paese in cui le forze dell’ordine tolgono arbitrariamente dai balconi gli striscioni strumento della libertà d’espressione, un Paese in cui una professoressa viene sospesa perché ha permesso ai propri studenti di sviluppare ed esternare liberamente il loro spirito critico, un Paese in cui a una partita di basket tra tredicenni, dagli spalti un gruppo di genitori urla “negro di merda” a uno dei ragazzini della squadra avversaria.

Un Paese in cui il responsabile morale, culturale e politico di questa assurda realtà (e chi la nega è cieco o complice) è libero di salire su un palco e bestemmiare, scomodando il Cielo senza venir colpito da un fulmine; nonostante i tuoni, la pioggia fitta e la coltre di nubi grigie che non lasciano intravvedere niente di buono all’orizzonte.

di Francesco Giamblanco ________________________________________________________________________________

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