Il caso Asia Argento-Weinstein e la superficialità della suprema Magistratura dei social

Il caso Asia Argento-Weinstein e la superficialità della suprema Magistratura dei social

Come per ogni caso di cronaca, anche stavolta la giuria popolare italica (capitanata dalla Presidentessa della Corte Suprema di Facebook Selvaggia Lucarelli) si è espressa:

– Colpevoli→ tutti: violentatore e violentate (specie nel caso di Asia Argento che con Weinstein “se l’è cercata”);

– Argomento a sostegno della tesi → ha denunciato dopo 20 anni, quindi dopo aver fatto carriera (“Non è violenza sessuale, è prostituzione” – sentenzia Libero).

Bene, ora prendiamo tutti questi verdetti, giudizi e pregiudizi: e cestiniamoli. Se davvero volessimo farci un’idea (che non sia influenzata esclusivamente da esperienze personali come nel caso dei tanti editoriali e delle infinite analisi che circolano in rete in questi giorni), dovremmo, per prima cosa, dirigerci verso la biblioteca più vicina e cercare un buon libro di Psicologia.

Si definisce violenza sessuale qualsiasi attività di tipo sessuale con una persona che non voglia o che sia impossibilitata a consentire all’atto a causa degli effetti dell’alcool, della droga o di altre situazioni.

Violenza sessuale è un termine molto generico, in quanto include diversi comportamenti come:

lo stupro, anche se l’autore è il partner o il marito;
qualsiasi contatto sessuale indesiderato;
l’esposizione non gradita di un corpo nudo, l’esibizionismo e il voyeurismo;
l’abuso sessuale di un minore;
l’incesto;
la molestia sessuale;
atti sessuali su clienti o dipendenti perpetrati da terapeuti, medici, dentisti, capi, colleghi o altre figure professionali.

La violenza sessuale è quindi un atto di potere esercitato su una persona più debole che non sempre richiede l’utilizzo della forza fisica o di minacce contro la vittima, perché quello di “violenza” è un concetto molto sottile, e può esprimersi in modi inconsueti, come nel caso in cui l’autore dell’atto utilizzi la propria età o il proprio status sociale per spaventare, ricattare o manipolare la vittima.

Spesso le vittime di violenza sessuale non denunciano per vergogna, umiliazione, senso di colpa, imbarazzo. E, nel caso ci si trovi nell’ambiente lavorativo, si aggiunge una ragione in più: la paura (molto concreta) di perdere il posto o di vedere la propria carriera finire in rovina; oppure, nel caso in cui si sia ancora all’inizio, di non avere nessuna opportunità.

Comunque la si pensi, che ci piaccia o no, gli essere umani siamo spesso fragili e talvolta assecondiamo il “gioco” (mostruoso) altrui, anche per assicurarci un futuro. Accade negli uffici legali, negli ospedali, nelle aziende, nella politica, nelle scuole, e figuriamoci se non accade nel mondo del cinema, specie se il molestatore o stupratore è uno dei più grandi produttori di sempre.

Il fulcro di questa brutta storia va oltre, e il quesito che suggerisco di porci non è “Perché non ha denunciato prima?” ma “Cosa sarebbe successo se avesse denunciato subito?”

Quali tutele ha il “dipendente”, inteso come colui che dipende dalle decisioni del boss, del potente di turno?

Ai “giornalai” di Libero consiglierei, prima di esprimersi (coi loro soliti toni da bar), di studiare la mastodontica differenza che passa tra la libera scelta di prostituirsi e l’essere vittime di un ricatto. Un conto è “Scelgo la via più breve per ottenere successo”, un altro è “Devo fare ciò che mi chiede, non ho altra scelta” (già, perché in certi momenti, il nostro cervello non offre alternative). Non si possono non considerare tutte le implicazioni ambientali e umane dei soggetti in causa; non si può ignorare il contesto socio-psicologico del caso specifico: la comprensione infatti passa sempre dall’approfondimento, dal confronto, dall’immedesimazione.

Tante storie si potrebbero raccontare, quelle di tanti giovani (ragazzi e ragazze) che subiscono molestie nel mondo della moda, del cinema e dello spettacolo in generale che, quasi inconsapevolmente, diventano (malgrado loro) consenzienti perché un NO potrebbe costar loro caro e mandare in frantumi tutto ciò che hanno sempre sognato. E quando si è giovani si è così fragili che il timore di veder infrangere i propri sogni fa diventare estremamente deboli.

Dunque, la vera domanda non è “Chi sono i colpevoli, chi le vittime, chi merita empatia e chi una condanna?”

Le domande sono altre e di più: “Siamo sicuri che la credibilità di una persona dipenda dal come e quando decide di denunciare?”, “Siamo certi di aver ben chiaro cosa sia davvero una molestia sessuale?”, “Abbiamo idea di come l’ordinamento giuridico tuteli concretamente le vittime?” e per ultimo “Siamo davvero sicuri di poterci ergere al di sopra di tutto e tutti, calpestando conoscenze ed esperienze, e giudicare e condannare senza possibilità d’Appello?”

 

Virginia Avveduto

 

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