La guerra delle fake news

La guerra delle fake news

In parallelo all’invasione russa, avviene una guerra altrettanto devastante, quella delle fake news.
In tal caso, non è semplice individuare gli schieramenti coinvolti. Apparentemente, vi sono Russia e filo putiniani da un lato, Nato e Unione Europea dall’altro. Gli uni diffondono notizie legate al conflitto che puntualmente gli altri smentiscono, e viceversa. Tra questi macro-schieramenti vi è tutto il resto: una massa ibrida e fluida composta da media e social, con i rispettivi creatori e fruitori dei vari contenuti.

Un tempo, le dittature utilizzavano i principali mezzi di informazione per imporre le proprie verità e le proprie regole. I cittadini non avevano molti strumenti per difendersi dalla propaganda; solo i più istruiti, o chi viveva le ingiustizie in prima persona, si opponevano al regime.

Oggi è diverso, nei Paesi Occidentali le dittature difficilmente riescono ad emergere. Eppure, chi auspica un ritorno al passato, ha da tempo intuito l’enorme potenziale di un’arma molto subdola in mano a chiunque: Internet.
Dunque, l’arma sarebbe la rete e di conseguenza i social; la principale strategia d’attacco sembra essere la seguente: creare il caos e insinuare il dubbio sui fatti, per poi arrivare a deduzioni atte a confermare le proprie ideologie o i propri pregiudizi.

Così, una dichiarazione dal Cremlino, lanciata spesso da un account social, è in grado di raggiungere sia i canali principali sia un qualsiasi gruppo Whatsapp di calcetto, di famiglia o di lavoro. Il contenuto implicito, ogni volta, è lo stesso: il “nemico” vi mente.

Ad esempio, sull’attacco all’ospedale pediatrico, il ministro degli Esteri russo ha dichiarato si trattasse di un ex-ospedale utilizzato come base dai battaglioni ucraini. Il ministro della Difesa russo ha anche aggiunto che la donna incinta, nota influencer ucraina, ritratta avvolta da una coperta in un famoso scatto di questi giorni, sarebbe in realtà “un’attrice che si è prestata alla messinscena”. Su quest’ultima affermazione, l’unico punto accertato riguarda la donna che pare sia davvero attrice/influencer, ma è altrettanto vero il suo ricovero all’ospedale di Mariupol. Pertanto, il ministro avrebbe fornito ai cittadini un ragionamento deduttivo basato sul pregiudizio: “Quella donna è un’attrice di professione, dunque era lì per una messinscena”. Qualcuno faccia sapere a Putin (e ad alleati vari) che anche le attrici partoriscono.

Dunque, i fomentatori del caos forniscono i loro fatti, arrivando a deduzioni prive di logica o di prove concrete, ma basate su bias cognitivi. Tali distorsioni cognitive, che portano a frequenti errori di valutazione, sono il pane di chi non ha buone difese in quest’inquietante Jungla dell’informazione.

di Virginia Avveduto

 

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