Insulti e fake news: perché le persone sui social sono più aggressive
Comunicazione online e aggressività
Negli ultimi anni, la comunicazione online è sfociata sempre più verso l’aggressività. Lo abbiamo visto in relazione alle questioni migratorie. È sempre più intensa l’ostilità verso i migranti e il rancore nei confronti di volontari e associazioni umanitarie, di giovani donne coraggiose che fanno importanti scelte di vita (come andare in Kenya per volontariato o guidare un peschereccio per salvare migranti), di chi esprime sentimenti di solidarietà e generosità verso il prossimo.
Tuttavia, il comportamento che si ha online e nelle chat, spesso è differente da quello vis a vis.
Il ruolo della Corteccia Orbitofrontale
Daniel Goleman, nel suo libro “Intelligenza sociale” (che consiglio vivamente), riporta uno studio effettuato su un gruppo di studenti, messi in coppia “virtualmente” in una chat room online per fare conoscenza. Di queste conversazioni su Internet, una su cinque conteneva messaggi sessuali espliciti. Con stupore dell’esaminatore, gli studenti fuori dal laboratorio avevano “un atteggiamento umile, educato e rispettoso, completamente in contrasto con la licenziosità esibita online”; molto probabilmente, nessuno di loro avrebbe mai osato tuffarsi in discorsi apertamente sessuali se si fosse trovato di fronte a una persona conosciuta da pochi minuti.
Ciò dipenderebbe, ad esempio, dalle espressioni del viso e dal tono della voce, che caratterizzano una interazione dal vivo e ci dicono se siamo sul binario giusto o meno. Come osservato dagli studiosi, su Internet manca il feedback di cui la corteccia orbitofrontale ha bisogno per aiutarci a controllare il nostro comportamento dal punto di vista sociale.
La corteccia orbitofrontale, infatti, è una struttura chiave per l’empatia e la condivisione delle emozioni, e non solo, essa svolgerebbe anche un’azione regolatrice nei confronti dell’amigdala, la fonte degli impulsi e degli slanci emotivi incontrollati.
Da tale studio, si potrebbe pensare che il web sia più un frullatore di impulsi e di emozioni anziché di ragionamenti e opinioni. E il “sentiment” più diffuso al momento, sembrerebbe essere quello populista e rabbioso.
Pensieri veloci e pensieri lenti
Un sentiment rabbioso e rancoroso, potrebbe essere dovuto anche alla rapidità con cui, grazie alla tecnologia, svolgiamo numerose azioni: dagli acquisti online alla comunicazione istantanea, agli spostamenti ad alta velocità, alle tecniche di “letture veloci”, alla lettura di contenuti brevi e semplici, fino ad arrivare al “pensiero veloce”.
Non abbiamo più tempo per ascoltare discorsi troppo lunghi, gli stessi conferenzieri ormai da un po’ di anni si avvalgono dell’ausilio delle slide, trasmettendo alla platea contenuti brevi e immediati.
Secondo la definizione dello psicologo Daniel Kahneman (2013), i pensieri veloci sono automatici, si basano sull’esperienza personale e sono rafforzati dagli stati affettivi. I pensieri lenti, al contrario, richiedono impegno e si basano sul ragionamento logico.
Tornando all’esempio sul dibattito sull’immigrazione, il pensiero veloce è quello dell’aiutiamoli a casa loro o dell’evergreen ricevono 35 euro al giorno per stare negli Hotel e non fare niente e del non possiamo accoglierli tutti.
Il pensiero veloce è espresso in slogan e in brevi e semplici teorie ricche di bias cognitivi (cioè “scorciatoie mentali” che portano ad errori di valutazione). Si tratta di una modalità di pensiero guidata dalle emozioni e dagli impulsi, spesso contraddetto dalle statistiche e dagli studi e, ciononostante, sostenuto con più forza.
Un pensiero che più marca il territorio cerebrale, più si tramuta in aggressività per sopravvivere e giustificare la propria natura, ed è da qui che partono gli insulti, le minacce, la violenza delle parole, violenza che difficilmente verrebbe usata al di fuori degli schermi digitali dato che la corteccia orbitofrontale verrebbe in soccorso.
Dovremmo tornare a dar importanza a discipline oggi trascurate: la filosofia, la matematica, la logica classica, ad esempio. Siamo talmente specializzati in qualcosa che abbiamo perso una visione globale delle cose.
Avremmo bisogno di tornare all’incontro dal vivo per discutere di tematiche a noi care, in modo da poter guardare l’altro negli occhi, rendendo più civile lo scambio di opinioni. Dovremmo recuperare la lentezza di pensiero, la riflessione approfondita, senza pretendere una soluzione immediata ad un problema.
di Virginia Avveduto – dott.ssa in Psicologia Clinica e della Salute
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