A quale normalità vogliamo tornare?

A quale normalità vogliamo tornare?

Da quando la vita di tutti è stata stravolta dalla pandemia, l’auspicio comune è quello di “Tornare alla normalità”. Imperterriti, sono tanti a ripetere come un mantra “Torneremo quelli di prima”. Ebbene, siamo proprio sicuri di voler tornare “quelli di prima”?

Com’eravamo prima? O meglio, a quale normalità vorremmo tornare?

La normalità della produzione alimentare, ad esempio. Un terzo del cibo prodotto finisce tra gli scarti, non arrivando così nemmeno sulle nostre tavole; e il fatto ancor più inquietante è che lo spreco di cibo, solo in Italia, vale quasi un punto di Pil. Nelle nostre campagne, i braccianti che raccolgono parte di quel cibo, che finisce direttamente nelle nostre dispense, lavorano in condizioni disumane e subiscono uno sfruttamento che richiama, non così lontanamente, lo schiavismo degli afroamericani nelle piantagioni di cotone. E, a proposito di cibo, nella sola Unione Europea, vi sono un milione di decessi l’anno attribuiti al peso in eccesso; allo stesso tempo, in tutto il mondo, 5 bambini muoiono di fame ogni minuto.

Altra normalità, nel nostro Paese, è quella di tagliare gli investimenti a scuola, ricerca, cultura, sanità, puntualmente previsti in ogni manovra finanziaria: studenti che non hanno potuto seguire le lezioni a distanza per la mancanza di un Pc; aule affollate e cattedre carenti; strutture ed edifici pericolanti e obsoleti; ospedali con posti letto insufficienti; medici e infermieri con gli stipendi più bassi d’Europa; ricercatori precari costretti a lavorare all’estero; lavoratori del mondo dello spettacolo e dell’arte senza tutele. E questi sono solo alcuni esempi. L’emergenza Covid-19 ha semplicemente riaperto quelle ferite mai rimarginate del nostro Paese.

Per non parlare della “normalità” di considerare, tutt’oggi, l’omosessualità un problema. Un recente studio riporta che “1 adolescente su 3 considera l’omosessualità qualcosa di sbagliato, il 10% pensa che sia una malattia o un peccato, tre su dieci non vogliono neppure sedersi accanto a un coetaneo gay o lesbica.” E gli adolescenti non sono altro che i “figli” dell’intera società, essi apprendono principalmente osservando e “imitando” il comportamento dei modelli (ovvero degli adulti).

È stato sempre nella norma considerare il riscaldamento globale soltanto uno dei tanti problemi da risolvere e non una vera e propria emergenza. Continuiamo pure a bruciare i combustibili fossili illimitatamente, producendo l’energia necessaria per riscaldare le nostre case e per i consumi di elettricità; continuiamo pure a prendere l’automobile anche per il solo piacere di girare in città senza una meta o soltanto per andare in ufficio a due passi da casa. E perché non deforestare del tutto quei pochi polmoni verdi rimasti sul Pianeta? Continuando così, la pandemia diventerà solo il male minore dinanzi all’emergenza clima.

Per farla breve, la produzione compulsiva è diventata insostenibile (e non è di certo una novità). Abbiamo bisogno di un nuovo modello di sviluppo, un modello che metta al centro il Pianeta e le persone, o meglio, un modello il cui obiettivo sia la CURA del Pianeta e delle Persone (in termini di salute – fisica e mentale – e in termini di diritti). E non ha più molto senso scindere l’uomo dalla natura, perché l’uomo è natura.

Don Ciotti ha detto: “Il rischio più grande è di tornare ad una normalità che era già malata prima del virus”.

di Virginia Avveduto  

 

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